Archivio mensile:dicembre 2019

Natale in viale Ortles

La sera
in cima ai gradini del grande porticato
gli stracci per coprirsi non sono mai abbastanza.
E il solo fiato caldo che trovi
devi comprarlo al bar se è un giorno fortunato
ché il bue e l’asinello stanno contando i punti su carte fedeltà nei grandi magazzini.
Lontani dal semaforo
dove Giuseppe annega
tra le acque di Maria
che partorisce un morto

La prima volta che vidi Milano

 

Me la ricordo questa foto.
Fu la prima volta che vidi Milano.
La prima volta che vidi Milano mi colpì subito il numero di grate sui marciapiedi che lasciavano intravedere il suolo degli scantinati e dei locali sotteranei a qualche metro di profondità. Ci sembrava stranissimo, a me e mia sorella, che quelle grate potessero sorreggere il peso di tutta la gente che passava senza mai cedere lasciando cadere qualcuno di sotto a sfracellarsi tra le cartacce, i mozziconi e la merda dei ratti ( che esistevano, con nostro immenso stupore, anche a Milano). Ricordo che andammo a stare in un hotel in corso Buenos Aires, dove passavamo anche buona parte della giornata a passeggio con mia madre, che faceva di tutto per farci sembrare quella permanenza così strana una vacanza. E noi facevamo finta di crederle, ma sapevamo che era tutto un rincorrersi tra lei e mio padre, a sua volta rincorso da uomini in divisa, uomini di cui avevo imparato a riconoscere i modi bruschi, uomini che fino a qualche mese prima avevo sempre immaginato come giusti, gentili e pronti ad aiutare le persone. E forse lo pensavo ancora, trovando incomprensibile quella leggera nota di disprezzo nella voce quando per la prima volta ci avevo avuto a che fare.
Forse, pensavo, non meritavamo il loro rispetto perché era successo qualcosa, qualcosa che mio padre aveva fatto, qualcosa di sicuramente sbagliato perché da allora l’avevo visto pochissime volte e sempre con l’aria trafelata e guardinga di chi cerca riparo dagli sguardi altrui, l’aria di chi si nasconde, l’aria di chi è colpevole.
Ricordo che avrei voluto sempre chiederglielo, cosa cazzo stesse succedendo, ma poi quando arrivava e ci abbracciava, mi passava il coraggio e lasciavo che si parlasse fitto fitto fitto con mia madre cercando di rassicurarla mentre lei, a fasi alterne, piangeva o gli parlava stizzita ma sempre sottovoce per non farci capire.
Noi invece avevamo capito tutto da tempo.
Ma in quei giorni che stemmo a Milano facemmo finta di no per farla contenta e sorridemmo all’obiettivo della macchina fotografica che aveva comprato per fingere di stare in vacanza.
Mia sorella però, ancora oggi quando viene a Milano, non ci cammina sopra alle grate dei marciapiedi.
-Non mi fido -dice.
E io ne conosco il motivo, anche se fingo di no.